Brahmacarya, siamo parte della totalità

Nascere implica inserirsi in un’universo dove coesistono insieme gioia, piacere, tristezza, dolore, luce, oscurità. Vivere implica imparare a rapportarsi alla duplicità dell’esistenza senza essere travolti da uno dei due opposti, ma anche imparare dall’universo nel quale viviamo. La nostra relazione con il cosmo è legata alla voracità, al prendere, ci sentiamo i padroni assoluti della terra, superiori a qualsiasi forma di vita, uccidiamo gli animali, disboschiamo le foreste, deprediamo la terra. C’è un termine in sanscrito, asteya, il terzo dei cinque yama degli Yoga Sutra di Patanjali, che mi viene in mente, e che significa non rubare, non rubare una parte dell’universo all’universo. Così come c’è una relazione tra tutte le parti del nostro corpo, esiste la relazione tra l’essere umano e il cosmo intero. Noi potremmo imparare dalla relazione che esiste con l’acqua, l’aria, la terra, il fuoco, l’etere, le piante, gli animali, la natura e imparare a liberarci dal senso del possesso e onnipotenza che caratterizza le nostre vite. Potremmo imparare a prendere dalla natura solo ciò che è necessario, senza avidità, senza voler afferrare e trattenere (Aparigrah) dando importanza ad ogni forma di vita. Se leviamo la totalità l’essere umano è solo, noi non siamo superiori agli altri esseri viventi, l’uomo è parte della totalità nella quale è immerso, non siamo fuori dall’universo ma ne siamo parte integrante e siamo in interrelazione costante con la totalità (Brahmacharya). E’ l’ego che separa, divide e che ci rende isole in una totalità. Quando l’ego prende meno forza, la paura decade e nasce il rispetto per la vita. Se il divino è presente in noi, è presente in qualsiasi forma di vita al di fuori di noi.